di Jack Vaccari
Le tracce sono segni lasciati sul terreno durante un viaggio. Per noi sono anche brevi schede utili a ripensare alle persone, ai libri e ai film incontrati durante il percorso di “Anni in fuga” e a uso di chi si sta occupando o si occuperà di temi simili ai nostri. Per chi fosse interessato a visionare i materiali del Comitato può farne richiesta scrivendo a anniinfuga@gmail.com (Comitato Anni in fuga)
Una famiglia di francesi che migra in Italia, una storia ambientata in una terra chiamata Occitania… Considerando questi elementi de Il vento fa il suo giro (Italia, 2005), verrebbe da pensare a un film di fantascienza. Certo non si tratta di un fenomeno migratorio di massa e neanche di un fatto usuale quello di vedere francesi che vogliono trasferirsi nel Bel Paese, tuttavia l’episodio raccontato nel film è realistico e trae spunto da situazioni osservate da Fredo Valla, cosceneggiatore del film. Una volta di più abbiamo la conferma che la condizione di migrante e di straniero non appartiene a un’unica categoria di persone (povere, oppresse, vittime, esuli), ma anzi, è una sorte che potrebbe toccare a ognuno di noi. La sobrietà narrativa del regista, Giorgio Diritti e le interpretazioni degli attori, quasi tutti non professionisti e originari dei luoghi in cui è ambientato il film, conferiscono ulteriore realismo alla storia.
Anche l’Occitania, nonostante sia difficilmente riducibile a quei pochi elementi che solitamente usiamo per descrivere un territorio (confini, numero di abitanti, capoluoghi, lingua…) è realmente esistita. Forse l’uso del passato farebbe indispettire, chi, ancora oggi, si sente Occitano e continua a parlare la lingua usata dai propri antenati. Certo è che, rispetto al medioevo, quando la lingua d’oc era utilizzata sia dai mercanti sia dai poeti trovatori, oggi la cultura occitana appare quantomeno in declino. Pur non avendo mai avuto confini politici definiti, l’Occitania, occupava parte delle regioni montane di Italia e Spagna e buona parte della Francia meridionale. Oggi, in Italia, la lingua e la cultura occitana sono confinate in piccoli e isolati comuni di alcune vallate piemontesi, ormai svuotati dall’emigrazione.
È il caso della Val Maira, stupenda ambientazione del film, fatta di monti grigi e severi, pascoli sconfinati e da piccoli borghi collegati da stradine che lambiscono strapiombi vertiginosi. I pochi abitanti rimasti stabilmente appaiono nel film segnati da una vita dura, resa ancor più difficile dal confronto con le agiatezze della cultura consumistica dominante, che ciclicamente, nel periodo ferragostano, irrompe nel paese con effluvi di salsicce grigliate e con il chiacchiericcio dei vacanzieri.
Philippe, ex insegnante e pastore di capre per scelta, padre di tre figli, sposato con Chris, è in cerca di una nuova casa e di nuovi pascoli per le sue capre, quando per caso, d’inverno, arriva a Chersogno (il nome è di fantasia) piccolo paese della Val Maira.
Philippe è da subito guardato con sospetto ma è comunque accettato nella piccola comunità, anche perché “perlomeno non è meridionale” come sottolineano, in un passaggio del film, alcuni degli abitanti del paese. Ben presto, però, si fanno sempre più evidenti le differenze tra lui e gli abitanti del borgo.
Philippe è colto, produce dell’ottimo formaggio caprino, ma soprattutto è libero e cerca di realizzare il proprio sogno senza essere legato a stereotipi o a un passato ingombrante.
Gli abitanti di Chersogno, invece, difendono strenuamente l’idea di un passato glorioso costruito dai loro antenati; ognuno lo fa in modo diverso, chi lamentandosi al bar, chi idealizzando la cultura occitana, chi passando le vacanze nella baita di famiglia. Ne esce così un quadro composito, sfaccettato ma unito nell’intento di difendere le proprie origini, il proprio passato e le proprie abitudini.
La competizione tra la famiglia e la piccola comunità di Chersogno è inizialmente tenuta a freno dalla parte più liberale della giunta comunale, che vede nell’arrivo della famiglia francese la possibilità di rianimare e ripopolare la vallata ormai abbandonata. Gradualmente la maschera gentile, ostentata dagli abitanti del paese, si sgretola e appare come uno scudo utilizzato per non entrare mai realmente in contatto con la famiglia francese, così da non dover mettere in discussione le proprie illusioni. La situazione precipita rapidamente degenerando in comportamenti palesemente ostili e aggressivi che renderanno la convivenza impossibile.
La magia del cinema è di farci identificare nei personaggi e di farci vivere altre vite. È bello sentirsi liberi come Philippe, sentirsi liberi di inseguire un sogno nonostante tutto e tutti. A volte, però, questo gioco di immedesimazione provoca sentimenti meno piacevoli. Se per sbaglio usciamo dai panni di Philippe ed entriamo nei multiformi panni degli appartenenti alla comunità di Chersogno cosa succede? Come ci sentiamo a vestire la polo bianca del grigliatore di salsicce, totalmente ignaro di quel che succede intorno a lui? O quelli della vecchia malgara che pretende di andare avanti senza prevedere un briciolo di cambiamento? O come in quelli sobri e da brava persona del sindaco di Chersogno, che vuole difendere la propria cultura vivendo però nell’agio cittadino? Insomma, anche un film di capre, pastori e montanari ci offre diversi spunti di riflessione.
Nonostante l’escalation di tensione e violenza, il film si chiude con due immagini positive. Una è il barlume di speranza del fuocherello acceso da un giovane del pese, che in controtendenza rispetto alla discesa a valle di tutti i suoi coetanei, decide di seguire le orme di Philippe e di riprendere dal punto in cui lui ha lasciato. Non si tratta di un finale lieto, ma mostra come l’apparente sconfitta di Philippe abbia innescato un cambiamento molto più grande rispetto alle sole buone intenzioni dei benpensanti non accompagnate però da un esempio concreto. L’altra immagine è quella della poesia di Cesar Vallejo, Massa, citata alla fine del film, che mostra attraverso un’immagine di terrificante semplicità, come, l’intera umanità unita in un unico intento, possa avere un potere di cambiare il mondo talmente forte da far resuscitare un morto. Sebbene utopistica, la visione ha perlomeno un elemento alla nostra portata: il cambiamento può essere innescato da un solo uomo.
P.s. Ecco la poesia di Cesar Vallejo citata nell’articolo
Massa (traduzione di Alessio Casalini)
Fine della battaglia,
è morto il combattente, ed ecco da lui un uomo
a dirgli: «Non morire! T’amo tanto!».
Ma, ahimè, la salma continuò a morire.
Si avvicinaron due e gli ripeterono:
«Non ci lasciare! Forza! Torna in vita!»
Ma, ahimè, la salma continuò a morire.
Corsero da lui venti, cento, mille, ottomila
gridando: «Tanto amore, e non poter niente contro la morte!»
Ma, ahimè, la salma continuò a morire.
Attorno a lui milioni di individui,
che insieme pregano: «Resta, fratello!»
Ma, ahimè, la salma continuò a morire.
Allora, tutti gli uomini della terra
furono intorno; li vide la salma triste, emozionata;
si rialzò dunque lentamente,
abbracciò il primo uomo: e camminò…
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