
illustrazione di Roberto Innocenti
Il “comunicato congiunto” che trovate qui sotto nasce da una nuova formula dello “spazio di incontro” (l’appuntamento settimanale del comitato “Anni in fuga”) che stiamo sperimentando in questo periodo: cene conviviali collegate ad una “testimonianza” significativa. In una di queste occasioni abbiamo incontrato tre giovanissimi rappresentanti di “Asahi”, un’associazione africana che ha sede anche a Modena. Tra le altre cose è emerso con forza il problema della casa, problema che noi stiamo riscontrando anche con diversi migranti e richiedenti asilo che vivono a Nonantola. Il dibattito che ne è seguito è stato molto vivo e animato, sebbene fatto di posizioni piuttosto diverse. Posizioni che abbiamo provato a mettere insieme, tenendo conto delle sensibilità di ciascuno, nel comunicato che segue. (“Anni in fuga”)
I nodi dell’accoglienza stanno venendo al pettine. E sono nodi che riguardano tutti. A tutti quindi vogliamo rivolgere queste brevi note, indipendentemente dal partito o dalla lista votata alle ultime elezioni, dalla posizione occupata nelle istituzioni pubbliche o negli enti del privato sociale, indipendentemente dal ruolo di attivisti, volontari o di educatori professionali che si ricopra.
Il sistema italiano dell’accoglienza è una macchina che sta andando fuori controllo, una macchina che invece di favorire processi di integrazione rischia di produrre marginalità, esclusione, sfruttamento, alienazione e imbarbarimento nei rapporti tra italiani e stranieri. Sono tante le contraddizioni nel sistema dell’accoglienza che producono questi effetti e che renderanno anche la provincia e i comuni di Modena luoghi carichi di conflitti e territori meno sicuri. Tra queste contraddizioni, probabilmente la prima e più visibile già nelle prossime settimane, c’è anche quella che riguarda la casa.
La condizione di chi non ha una casa dignitosa è in continuo aumento e riguarda sia persone italiane che straniere. Come associazioni di migranti e di cittadini da anni impegnate nella ricerca di forme di convivenza capaci di includere anche chi si trova in situazione di difficoltà e marginalità, quale che sia la sua provenienza geografica, siamo molto preoccupati e ci sentiamo in dovere di porre l’attenzione su ciò che sta accedendo a Modena e provincia a quei migranti che non hanno accesso alla casa. Sono sempre più frequenti i casi di persone a cui, nonostante una situazione stabile e un buon contratto di lavoro, non viene affittata la casa per il colore della pelle; così come stanno aumentando le segnalazioni di coloro che vengono sorpresi a dormire per strada o in edifici abbandonati e per questo criminalizzati (qualche esempio QUI e QUI). Ed infine, il caso più recente, le espulsioni da alcuni centri straordinari di accoglienza di richiedenti asilo colti in flagranza del “reato di ospitalità”, per aver cioè offerto un letto ad altri compagni senzatetto (QUI).
Sono 1600 i giovani migranti attualmente in accoglienza nella provincia di Modena. 1600 persone che presto usciranno dalle strutture in cui vivono. A rischiare di finire per primi sulla strada saranno paradossalmente i pochi che riceveranno una risposta positiva alla loro richiesta di protezione internazionale: una volta ottenuta la risposta avranno tempo poche settimane per lasciare le case che hanno abitato per due o tre anni. Per non parlare di tutti coloro a cui, al contrario, un permesso sarà negato. È una facile previsione immaginare centinaia di persone che, con o senza permesso, vagheranno per le strade delle province di Modena vivendo alla giornata.
Di questi migranti senzatetto bisognerebbe occuparsi invece che preoccuparsi, e non principalmente per ragioni di filantropia, ma per banale buon senso oltre che per senso di giustizia. E invece per ora gli unici che a Modena hanno iniziato a dare delle risposte, magari disorganizzate e non sempre ortodosse, sono i loro compagni ancora in attesa del riconoscimento della protezione – e come tali aventi diritto a un alloggio nel sistema prefettizio dell’accoglienza – che non se la sono sentita di voltare la faccia quando altri migranti rimasti senzatetto hanno bussato alle porte degli appartamenti dove sono ospitati chiedendo un letto dove dormire. Alcuni di loro (è cronaca di questi giorni) sono stati segnalati dall’ente gestore che li ha in carico alla Prefettura, che ha disposto la revoca immediata delle misure di accoglienza, mandando per strada non solo chi già non aveva una fissa dimora ma anche chi un alloggio aveva ancora diritto ad averlo.
Il sistema dell’accoglienza modenese sta per concludersi, sia in ragione del fatto che stanno iniziando ad arrivare massicciamente le risposte alle 1600 persone ancora in attesa, sia perché le recenti disposizioni nazionali (il cosiddetto “Decreto sicurezza”) smantelleranno di fatto il sistema per come l’abbiamo conosciuto fino ad oggi. Questa fase sarà particolarmente delicata. Perché i danni siano limitati, sarà necessario muoversi tutti – pubbliche amministrazioni, media, privato sociale, associazionismo e attivisti – con un’alta dose di razionalità e buon senso e non nella maniera nervosa e scomposta che si è iniziata a intravedere nelle scorse settimane.
La nostra non è un’azione di denuncia, né di semplice advocacy. Non ci consideriamo “fuori” dal disordine generale che caratterizza il sistema dell’accoglienza. Non c’è nessuno, militanti e attivisti compresi, che si possa pensare “fuori” da questo disordine. Ma vogliamo sollecitare un confronto e delle risposte ragionevoli da parte delle istituzioni pubbliche e degli enti del privato sociale che in questi anni ha gestito la partita dell’accoglienza. Per quanto ci riguarda ci mobiliteremo assieme ai giovani migranti in uscita dall’accoglienza e ai senza dimora per cercare insieme risposte concrete, alloggi, posti letto, forme di mutuo aiuto degne del vivere civile e della nostra Costituzione.
Anni in fuga – Nonantola
Asahi Modena
Diaspora africana
Giunchiglia-11
Comunità cristiana del Villaggio Artigiano
Gruppo Carcere-città
Scuola libera e itinerante di piazza Guido Rossa
Per aderire, precisare, dissentire, ma soprattutto per condividere idee ed esperienze su come facilitare l’accesso a una casa dignitosa per chi ne avesse bisogno, potete scrivere o telefonare a:
334.7882070

lunedì 12 novembre 2018, cena dello “spazio di incontro”
Cari tutti,
ho letto più volte e con molta attenzione il comunicato e, ogni volta, alla fine mi è rimasto un certo disorientamento. Per questo vi scrivo.
Parto dalla fine: anche io credo che ciascuno di noi, in quanto cittadino, sia più o meno consapevolmente “dentro” ai problemi che vengono riportati. Sono dentro gli operatori, sono dentro gli amministratori, sono dentro i cittadini che fino a oggi hanno agito mossi da indignazione, pietà, umanità, buon senso, senso civico e sono dentro anche tutti quei cittadini che hanno paura, si oppongono, quelli razzisti, quelli che del problema hanno una visione parziale o superficiale. Sono dentro tutte le persone che in qualche modo hanno bisogno di Welfare. Ed è giusto tenere dentro tutti.
Credo però, che chi ha maggiore consapevolezza dei problemi e dei funzionamenti del Welfare, chi conosce cosa è successo a Modena e Provincia dal 2011 in avanti, abbia una responsabilità: quella di porre in modo preciso i problemi, dipanarli per quelli che sono e, nel definirli correttamente, porre sul tavolo strumenti di agire politico.
Vengo al punto: il documento mescola due questioni, certamente tra loro interconnesse, ma che se affrontate insieme – a mio avviso – rischiano di generare un caos maggiore, alimentando letture superficiali dei problemi. Da una parte c’è il problema della casa e del diritto all’alloggio; dall’altro la crisi dei programmi umanitari di accoglienza e la messa in discussione dello SPRAR.
Il primo problema è stato messo in risalto dal secondo, ma è ben più lontano nel tempo e nelle ragioni. L’alloggio non è una prestazione assistenziale essenziale in Italia; non ci sono obblighi normativi in tal senso e la Legge di riforma del 2000 che avrebbe potuto intervenire in tal senso è rimasta senza decreti attuativi. Quindi l’accesso all’alloggio è una delle tante prestazioni che pagano le scelte discrezionali a livello territoriale, politico, economico. E’ un problema che dunque persiste nel tempo e che trova soluzioni alterne: è un problema per i nuclei sfrattati, è un problema per i lavoratori stranieri soli, è un problema per chi non ha reddito adeguato, è un problema per tutte quelle persone che non hanno abbastanza problemi tanto da essere prese in carico da un Servizio Sociale. E anche per queste ultime, non sempre, l’alloggio è una certezza. Perché se la risposta sono gli alberghi o le camere triple in affittacamere a fronte di sfratti di madri e bambini, allora il problema diventa definire cosa sia un alloggio decoroso.
Nel corso degli ultimi tre anni – per la mia percezione – si è aggiunto un elemento ulteriore al problema: la conflittualità sociale e la paura del diverso, hanno reso il mercato degli alloggi ancora più ostile e impenetrabile. Non trovano casa i cittadini stranieri anche se hanno stabili contratti di lavoro, così come tutte quelle persone che in qualche modo possono essere percepite come pericolo. Questo, a mio avviso, è l’esito prevedibile delle narrazioni politiche e mediatiche che hanno avuto come oggetto le migrazioni e, più in generale, la povertà. Dal 2011 in avanti, ben prima di Salvini, che ha contribuito alzando i toni e agendo scelte coerenti con la propria propaganda.
Poi, c’è il secondo problema: la gestione dell’accoglienza e la gestione dei suoi esiti. Innanzi tutto, è dal 2014 che il sistema emergenziale esiste e che ne stiamo vedendo gli esiti. Non presentiamolo come qualcosa che è ancorato all’oggi perché perderemmo la reale portata del problema. Io da sempre esprimo una forte critica nell’impostazione del sistema umanitario, per tanti motivi ma uno in particolare: perché se pensiamo che un intervento è dettato dalla sola umanità perseguiamo una strada che è de-responsabilizzante e che non vede davvero l’altro, nella sua progettualità, ma ciascuno diventa oggetto della nostra impossibilità di non intervenire. Mi spiego meglio. Dal 2012 come Stato abbiamo scelto di non pubblicare più decreti flussi per lavoro se non stagionale: in questo modo abbiamo chiuso possibilità di ingresso legale a tutti quei migranti che perseguivano un progetto personale di miglioramento delle proprie condizioni di vita. Abbiamo avviato l’operazione Mare Nostrum perché non potevamo non intervenire a sostegno dei profughi, cioè perché c’era una ragione cogente – il principio umanitario – che ci obbligava. Attenzione, una ragione esterna cogente non significa che abbiamo “scelto”. Ed essendo questo il principio che ha guidato l’intervento, l’esito è stato un sistema assistenziale. Un sistema cioè che non guarda il singolo e la sua progettualità ma massifica, eroga prestazioni indifferenziate, genera assistenza. In questo ciascun soggetto ha agito la propria parte: le amministrazioni locali che si sono tenute a distanza, le Prefetture e le Questure con i loro ingranaggi burocratici, i gestori che hanno vissuto la questione come privata perché regolata da contratto, la società civile che si è disinteressata di quello che stava accadendo, o lo ha guardato distrattamente dalla finestra o è intervenuta mossa da ideali contrastanti.
La crisi del sistema era implicita nelle sue premesse. La Legge Salvini peggiora le condizioni di un sistema in crisi perché non solo ne modifica le fondamenta ma modifica le condizioni individuali e le rende più fragili.
Dal 2014 in avanti di persone dal sistema di accoglienza ne sono uscite: alcune con propri progetti, alcune in strada, alcune dirette verso altri paesi. Molte sono rimaste ospiti presso i gestori: non abusivamente, ma come investimento progettuale sui singoli.
L’assenza di un alloggio dunque non è un problema di oggi; oggi sembra diventare più evidente.
Allora, tornando al punto di partenza, secondo me è necessario:
– distinguere i problemi: quello della casa da quello della crisi e dello smantellamento del sistema di accoglienza, rivendicando la complessità di entrambi i temi e il necessario investimento in termini di politica su ciascuno;
– per ciascuno dei problemi sottolinearne il valore collettivo, in termini di ricadute e di responsabilità: delle politiche, delle amministrazioni, dei singoli cittadini;
– creare una mobilitazione dal basso che sia consapevole, per evitare che sia una mobilitazione fine ai propri ideali piuttosto che orientata all’emersione dei problemi;
– favorire un confronto tra tutti gli interlocutori su ciascun problema pensando al Welfare come bene comune, di cui ciascuno ha una parte di responsabilità.
Perdonatemi la prolissità ma ho un forte timore: che ponendo i temi in questo modo, ancora una volta la migrazione diventi il problema, coprendone altri presenti da più tempo.
Un caro saluto a tutti
Eleonora Costantini
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