di don Mattia Ferrari

Bari, 22 febbraio 2020

Care e cari,

mi dispiace molto non riuscire ad essere presente oggi, ma al tempo stesso mi fa piacere che in contemporanea all’incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” organizzato dalla Cei a Bari, a cui partecipo anche in rappresentanza di “Mediterranea Saving Humans”, a Nonantola si svolga questo incontro di condivisione cittadina con due relatori di così alto livello e con il nostro vescovo, che come sappiamo, è sempre vicino con paternità pastorale al nostro cammino: questa concomitanza tra i due eventi ci ricorda che c’è una sola missione, in terra e in mare, e cioè la missione di costruire su tutto il pianeta giustizia e fraternità, quella che Paolo VI chiamava “la civiltà dell’amore”.

Oggi voi condividete con la comunità cittadina, come abbiamo fatto più volte all’interno di “Anni in fuga”, la situazione nazionale e quella locale dell’immigrazione. La cosa bella di Nonantola, che mi colpisce sempre, è che non si parla mai solo di dati e numeri in astratto, ma sempre ancorati alla vita delle persone. Per “Anni in fuga” e, mi permetto di dire, per la comunità nonantolana, non esistono “65 richiedenti asilo”, “x migranti”, ecc.: esistono Festus, Mohamed, Moriba, Ablaye, Caroline, Weldegabr… Ed è questo accogliere ogni migrante come persona, con un nome e un volto, che fa sì che a Nonantola l’accoglienza sia oggettivamente molto buona (e che, di conseguenza, il razzismo sia molto più basso che altrove). Chi arriva a Nonantola dall’esterno (e anche io sono in un certo senso un “immigrato” a Nonantola) rimane colpito da questo alto livello di accoglienza e inte(g)razione. Le ragioni, come ho detto, stanno nel fatto che qui l’accoglienza non è una cosa astratta o fredda, ma è vissuta veramente come una cosa del cuore.

E proprio il fatto che qui l’accoglienza tocca non solo la testa ma anche il cuore dà a Nonantola anche la capacità di capire la drammaticità della condizione di molti migranti oggi e la necessità di porre in atto un cambiamento nella gestione del fenomeno, agendo anche in prima persona. Proprio perché ad esempio l’aumento dei dinieghi non è percepito qui solo come un aumento dei migranti irregolari (cosa già di per sé triste), ma come una sofferenza per delle persone migranti che sono a tutti gli effetti nostri amici, nostri fratelli e sorelle, che spesso vengono nelle nostre case a condividere i pasti, o a giocare con noi a calcetto, o a fare gite insieme. E l’altra cosa bella che mi piace sottolineare, è che ho trovato, sia a Nonantola sia dentro a Mediterranea, è che questi temi, come l’accoglienza delle persone migranti, la costruzione della giustizia, l’impegno per l’ambiente, uniscono mondi e ci vedono tutti uniti, al di là delle diverse provenienze culturali o religiose. E così ad accogliere i migranti a Nonantola e a salvare le vite dei migranti con “Mediterranea”, non ci troviamo solo come Chiesa cattolica, ma come comunità allargata a tutte le persone che hanno il cuore aperto. Tanto a Nonantola quanto dentro a Mediterranea stiamo sperimentando la bellezza dell’incontrarsi e del camminare insieme come persone di buona volontà. La famiglia umana sta piano piano riscoprendo quella comune umanità che ci rende fratelli e sorelle e sta piano piano capendo che è possibile e bellissimo camminare insieme con tutti coloro che riconoscono la comune umanità: Nonantola e Mediterranea ne sono un esempio.

Grazie di cuore per quello che fate e per il cammino che stiamo facendo: per me è veramente un dono. Abbiamo ancora tanta strada da fare, in cui accanto alla fatica sperimenteremo sempre la bellezza di questo camminare insieme e la gioia del Vangelo. Buon cammino a tutti noi!

Don Mattia