di Mediterranea Nonantola

Quello che segue è l’intervento che le ragazze di “Mediterranea Nonantola” hanno tenuto in occasione dell’incontro del 22 febbraio scorso “Il collo dell’imbuto (e come provare ad uscirne)”. 

Del report Il diritto d’asilo. Non si tratta solo di migranti, pubblicato dalla Fondazione Migrantes e che oggi presentiamo, vorremmo partire dalla parte che ci riguarda. Chiara Marchetti nel suo intervento mette in primo piano l’azione di “Mediterranea Saving Humans” come esempio di “reazione della società civile organizzata” nei confronti delle posizioni che il governo precedente ha preso circa la gestione dei flussi migratori, in particolare contro la “politica dei porti chiusi”. Nel report si legge quanto l’esempio di “Mediterranea”, come anche quello di tante piccole realtà locali (come può essere la rete di Noantola), sia stato importante, specialmente per essere stata in grado di far convergere l’impegno di diversissime frange della società civile, per il suo ruolo di denuncia delle tantissime violazioni dei diritti umani che si consumano nel Mediterraneo centrale e per le lotte che porta avanti a partire dall’abolizione del memorandum con la Libia (tra l’altro confermato all’inizio di febbraio con irrisorie modifiche).

In preparazione a questo incontro abbiamo intervistato diversi giovani che abitano a Nonantola per vedere che tipo di vita conducono e che percezione hanno della loro vita qui. Non sappiamo riuscirà a rendere l’idea, in ogni caso la nostra intenzione era quella di mostrare perché noi giovani “indigeni” nonantolani abbiamo deciso di continuare a terra quello che Mediterranea fa in mare, in altre parole, di creare relazioni coi giovani che provengono da tutte le parti del mondo e che per un motivo o per l’altro sono approdati qui.

Perché ci sentiamo chiamati in causa? Perché dovrebbero essere in primis i giovani a interessarsi dei diritti e delle condizioni di vita dei coetanei che provengono dall’Asia, dall’Africa, dall’America, dall’Europa?

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In parte l’abbiamo già accennato: sono nostri coetanei, loro come noi hanno un futuro aperto davanti, un futuro per il quale si deve lottare. Se fino a qualche anno fa le prospettive erano complessivamente limpide e ottimistiche, o almeno venivano percepite in gran parte così, ora non si può dire la stessa cosa: manca il lavoro, il consumismo sfrenato degli ultimi decenni sta devastando la Terra, la violenza e l’odio sono tornati a essere ammessi nei gesti e nel linguaggio di molti governanti. Ebbene, questi problemi oscurano le prospettive di tutta la futura popolazione mondiale, a prescindere dal colore della pelle, problemi che difficilmente risolveremo se continueremo a pensare con la logica di chiusura che abbiamo usato finora, se non impareremo a vivere insieme.

Dovremmo essere noi giovani ventenni ad insegnare a voi adulti come non esistano insuperabili differenze rispetto alla proprio provenienza, che non esiste un “noi italiani” e un “loro”, noi che fin da bambini siamo cresciuti con almeno un compagno di classe straniero, noi che abbiamo la possibilità di viaggiare, conoscere, imparare, noi che facciamo tanto i cosmopoliti, che siamo la generazione degli Erasmus e delle esperienze all’estero, noi ai quali piace mangiare al giapponese, noi che con i nostri smartphone siamo connessi ogni singolo istante col mondo intero! Siamo noi quindi che abbiamo tutti gli strumenti per operare un cambiamento.

Collo14

Nel report è evidenziato l’emergere in questi ultimi anni del razzismo, del clima d’odio, della diffidenza, ma crediamo che il cancro più grande della società sia l’indifferenza: quello che preoccupa, e vorremmo capire se è solo una nostra percezione, o se anche voi la condividete, è quel “48% della popolazione che appartiene ai segmenti intermedi” che non ha preso una posizione sul tema in questione. Questo diventa ancora più grave se sono i giovani i primi a disinteressarsi di ciò che accade a chi abita nella palazzina affianco alla propria solo perché un “extra comunitario”.

I richiedenti asilo presenti a Nonantola, alcuni li avete visti nei video, hanno già ricevuto un diniego in commissione, rischiano di diventare clandestini. Dalle domande che abbiamo fatto loro non sembrano particolarmente preoccupati, si può vivere anche da clandestino, ciò che cercano è di poter vivere nella regolarità senza nascondersi. Togliendo loro la possibilità di avere un permesso di soggiorno non risolveremo nulla, anzi creeremo solamente dei danni allo stato, che si ritroverà con le stesse persone che ha accolto, ma con l’aggravante della clandestinità.

E non possiamo poi non porci quest’ultima domanda: per noi che, come tutte le associazioni che hanno organizzato questo incontro, ci siamo impegnati fino ad adesso e continueremo ad impegnarci per i loro diritti, per noi che con molti di loro abbiamo stretto relazioni forti e sincere, non saranno sempre le stesse persone anche se prive di un documento valido? Ogni tanto la burocrazia dei documenti perde di vista il vero significato della vita.

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