di Francesco Ciafaloni

Ci aspettano tempi difficili. Forse l’unica cosa che si può fare è arrivare (un po’ più) preparati. Il testo che segue, scritto sull’onda degli accadimenti violenti di cui hanno dato notizia i media in queste settimane è di Francesco Ciafaloni, che abbiamo invitato a Nonantola per il battesimo di Anni in fuga. Uscirà sul prossimo numero della rivista forlivese “Una città”. (Comitato Anni in fuga)

Dopo la strage di Nizza, come dopo tutte le stragi precedenti, accanto al lutto e al dolore, più che dovuti, emerge da molti commenti la tendenza a individuare un nemico assoluto, esterno, malvagio, potente, infiltrato tra noi, da punire, da distruggere. L’assassino di Nizza, mentre se ne conoscono solo il nome, i problemi personali e familiari, i precedenti penali, diventa l’esponente di una potenza ideologica e militare contro cui schierarsi in armi. Noi, innocenti come le innocenti vittime, noi, con i nostri valori – libertà, uguaglianza, fraternità, naturalmente – contro loro, i fanatici, i violenti, gli intolleranti: una guerra della tolleranza contro l’intolleranza, è stato scritto.
Il guaio è che dentro il loro finiscono – perché non reagiscono, perché non denunciano, non si dissociano abbastanza – milioni di persone, residenti qui, credenti e non credenti nell’islam, perché per l’origine propria o familiare, per i costumi, per l’aspetto, sono riconducibili al soggetto violento e potente che vorremmo sconfiggere, giudicare e punire.
I poteri politici e la forza militare e poliziesca del nostro paese e dei paesi simili dovrebbero costituirsi in iustus iudex ultionis e annientare loro, liberarci dal male. Ma sostenere che le nostre società siano fondate sulla libertà, l’uguaglianza, la fraternità, è una atroce menzogna. Le nostre società sono diventate ecosistemi detritici, discariche sociali in cui uguaglianza è diventata una bestemmia, alla fraternità pensano solo un vecchio papa e non moltissimi uomini di buona volontà, e libertà è diventata il diritto dei ricchi di fare ciò che vogliono dei loro soldi, e di chi può accedere a una tribuna di insultare chi vuole e come vuole. È diventata libertà da tutti i doveri sociali e personali che tengono insieme una società. 

Le colpe
Parlerò soprattutto di cause sociali della violenza nei nostri paesi. Sento perciò il bisogno di chiarire che non penso affatto che le cause sociali spieghino, tanto meno giustifichino, la violenza, gli omicidi, le stragi. Non penso che nessuno sia veramente colpevole di nulla se segue la corrente.
Esistono milioni di persone che, nelle stesse società, non uccidono; che, se debbono e possono, lottano per migliorare le proprie condizioni senza uccidere; che, dove sono costretti a schierarsi a difesa in una guerra in atto, combattono per la propria libertà senza usare e pubblicizzare il terrore. Scelte diverse, personali e collettive sono dunque possibili. Anche nel Medio Oriente lacerato da guerre multiple intrecciate ci sono esempi di civiltà, forse di eroismo.

Ma le potenze europee bombardano il Medio Oriente da almeno un secolo, per esercitare il proprio potere, come la Francia, potenza mandataria che bombardò Damasco negli anni ’20 con l’artiglieria dopo una rivolta drusa; come i britannici in Afghanistan, per controllare i confini dell’Impero; come gli Stati Uniti in Iraq e Iran; come Israele in Libano o a Gaza. Non ne discende il diritto per i simpatizzanti della rivolta araba di uccidere cittadini europei a caso. Non ne discende neppure che sia legittimo ed opportuno continuare a bombardare il Medio Oriente perché loro, o i nostri concittadini sobillati da loro, hanno ucciso qui. Anzi, chi continua a bombardare, o reprime oltre i limiti della legge, senza responsabilità individuali dimostrate, chi proviene da paesi considerati pericolosi, accetta totalmente la logica degli assassini, ne realizza gli scopi. Lo Stato Islamico non è una potenza industriale o militare. E’ una potenza ideologica. Le idee non si sconfiggono con le bombe. 

Stati veri e Stati presunti
Ma bisognerà pure difendersi dalle aggressioni, portare la sicurezza nelle nostre città. È vero. La polizia e i giudici ci sono per quello. Ma non verremo a capo della rivolta omicida di singoli o piccoli gruppi, legati o no a centrali in Medio Oriente, se gli Stati europei non smetteranno di fingere di ignorare che la forza, militare, ma anche culturale, di Al Qaida prima, dello Stato islamico oggi, discende dall’appoggio di Stati veri, potenti, di cui l’Unione europea è alleata. L’Arabia Saudita, fonte dell’ideologia guerriera e fondamentalista di molti terroristi, in Asia, in Africa, in Europa, è il cardine del sistema americano in Medio Oriente da quando Roosevelt incontrò Ibn Saud subito dopo Yalta. La Turchia ha l’esercito più potente della Nato dopo quello americano, ed ora, dopo il tentativo di golpe fallito, si avvia a diventare esplicitamente dittatoriale. Al Sisi è stato prontamente accettato perché ha riportato l’ordine, al prezzo di  migliaia di morti. Per battere lo Stato Islamico l’Unione europea dovrebbe avere una politica estera autonoma, non subordinata agli interessi petroliferi e militari degli Stati Uniti.

 Una guerra civile
I violenti che uccidono in Europa e negli Stati Uniti sono cittadini europei o americani, o regolarmente residenti, non invasori. I giovani e meno giovani disoccupati, isolati, privati della possibilità di programmare una vita, di svolgere un’attività socialmente utile, di avere un lavoro stabile, possono finire con l’odiare gli altri, alcuni altri, e se trovano una giustificazione ideologica del proprio odio, uccidere a caso. L’Italia, per ora, è un paese poco violento. Ma sarebbe un miracolo se lo restasse a lungo. Un paese col 40% di disoccupazione giovanile sta preparando un futuro orribile, non solo per motivi di sussistenza ma perché senza una attività utile stabile non c’è coesione sociale, responsabilità, solidarietà, speranza.

Se dovessi dire quale misura urgente potrebbe diminuire il pericolo della violenza direi: ridurre la disoccupazione giovanile ad un quinto di quella attuale; tendenzialmente ad un decimo. Come? Organizzando una struttura in grado di far funzionare il servizio civile universale, per cittadini e residenti. Assumendo nella sanità, nella scuola, nella cura del territorio e del paesaggio. Gallino, gli economisti di “Proposta neokeynesiana” o di Sbilanciamoci ed altri hanno sostenuto che la creazione diretta pubblica di posti di lavoro è economicamente possibile. La vera difficoltà è organizzativa. È quello il compito difficile da affrontare.

 Un problema culturale
Gli effetti di un eventuale aumento della occupazione giovanile non basterebbero a superare la diffidenza, o addirittura, l’odio nei confronti di chi viene ritenuto diverso. Sarebbero un buon punto di partenza perché l’ostacolo maggiore nell’inserimento dei  migranti e dei profughi è la mancanza di lavoro. Prima dell’ultima crisi l’inserimento avveniva di fatto nel lavoro (tasso di occupazione degli stranieri 10 punti più alto di quello degli italiani). L’accoglienza rischia sempre di essere troppo avara o troppo generosa. Dopo che il buon samaritano ha prestato soccorso, il viandante deve essere messo in grado di cavarsela da sé.
Ma c’è anche un problema di formazione, di comprensione, che ha mobilitato energie in passato, ma non ha trovato una soluzione stabile, e sembra ora trascurato. Il lavoro dei volontari per superare le difficoltà di comprensione tra migranti e locali ha raggiunto ottimi risultati con le persone più attente, in certi anni. Ha creato vere e proprie élite, ma non ha raggiunto i più, né italiani né immigrati, non ha cambiato la scuola pubblica, che intanto è peggiorata e tende alla privatizzazione. Pochi italiani conoscono le sacre scritture delle religioni tradizionali di qui; figuriamoci quelle di là. Del resto sarebbe difficile sostenere che dalla scuola italiana si esca con solide convinzioni etiche laiche. Non mi sembra di assistere al trionfo di Kant e di Spinoza.
Ciò che si ignora può facilmente diventare pauroso o odioso. Vale anche per chi arriva qui, da paesi molto più poveri e violenti del nostro, e non sa nulla del nostro passato, vede solo i detriti e se li immagina persino più diffusi e repellenti di quanto non siano.
La richiesta, orribile, di recitare alcuni versetti del Corano, la Sura aprente, la fatiha, se non ho capito male, per aver salva la vita è una richiesta che non ha nulla a che fare con il contenuto dei versetti. È solo un test per distinguere noi da loro. Non è diversa da quella dei Vespri siciliani che per riconoscere i francesi gli facevano dire “ceci”, che loro pronunciavano “sesì”. O da quella dei partigiani della bassa milanese, che facevano dire “milanes” e dalla pronuncia pensavano di riconoscere gli amici dai nemici. I versetti la cui ignoranza portava alla morte parlano della misericordia di Dio, misericordia che i cristiani, in particolare cattolici, hanno delegato alla Madonna (Salve Regina, mater misericordiae), non parlano di uccidere.
Giudicate voi. In una perifrasi che spero non blasfema i versetti dicono:
In nome di Dio, clemente e misericordioso./ Sia lode a Dio, signore dei mondi/ clemente e misericordioso/ re del giorno del giudizio./ Noi ti adoriamo,/ ti supplichiamo di aiutarci./ Mostraci la via,/la via di quelli che hai colmato di grazia, non di quelli che incorrono nella tua ira, di quelli che errano. Amen

fortezza

illustrazione di Armin Greder da Gli stranieri, Orecchio Acerbo 2012