Da dove viene il nome del comitato cittadino che a Nonantola, da un anno, si sforza di portare avanti un lavoro culturale e politico intorno ai temi delle migrazioni forzate, dei processi di integrazione, dell’incontro tra “stranieri”, dei conflitti che si creano tra persone che lasciano il proprio paese e i territori in cui vanno a vivere?
“Fuga” è una parola che può avere significati diversi, sia positivi che negativi.
Trasmette l’idea dell’ansia e della paura che prova chi ha un pericolo alle spalle che lo spinge a scappare via. Si fugge per mettere in salvo la propria vita e la vita dei propri cari. Si fugge a causa della guerra. Come gli sfollati che durante l’ultima guerra mondiale da Modena vennero ad abitare per molti mesi a Nonantola o nei paesi vicini per sfuggire ai bombardamenti e alla fame della città. O ancora come le migliaia di giovani “disertori” in età da militare che, negli stessi anni, lasciarono l’Italia per scappare in Argentina, Brasile o in qualche altro angolo del pianeta per sottrarsi alla coscrizione obbligatoria e allo scontro armato. O, con diversi tratti di somiglianza, come i giovani eritrei che da anni scappano – in un impressionante esodo che sta svuotando l’Eritrea di tutte le forze più giovani e produttive – dalla leva militare permanente cui li sottopone il regime che governa il paese. Si fugge dalla fame, dall’oppressione di regimi illiberali, da condizioni che, pur non mettendo in pericolo la sopravvivenza, non consentono una vita dignitosa e tranquilla.
Ma la stessa parola può avere anche un significato positivo, come quando si parla di un corridore o di un ciclista “in fuga”. In questo caso i sentimenti che evoca sono piuttosto di entusiasmo, di carica positiva, come quelli provati da atleta e pubblico prima di un traguardo.
“Anni in fuga” è anche il titolo che il curatore Klaus Voigt ha dato all’affascinante diario di Josef Indig Ithai, il giovane e carismatico educatore che per quattro anni accompagnò un gruppo eterogeneo di orfani ebrei provenienti da mezza Europa e braccati dal nazi-fascismo, “i ragazzi di Villa Emma”, nelle loro peregrinazioni da Zagabria a Lesno Brdo, a Nonantola a Bex, facendone una vera comunità e portandoli quasi tutti in salvo in Palestina.
In fuga non sono solo le persone, ma anche questi nostri “anni” di grandi, ambigui e confusi cambiamenti. Cambiamenti che riguardano tutti e ogni aspetto della nostra vita: il lavoro, l’istruzione, l’accesso ai servizi, la cultura, lo spirito… E dentro a questa confusione siamo tenuti a stare, possibilmente con un po’ di intelligenza, libertà di sguardo, ironia, senso di giustizia e piacere della sfida.
Lo iniziamo a capire adesso, a distanza di un anno dalla sua nascita: il nome del comitato “Anni in fuga” tiene più o meno consapevolmente insieme tutti questi diversi significati, tutte queste diverse anime, tutte queste diverse inclinazioni.
(Luigi Monti – comitato “Anni in fuga”)
[…] anni in cui viviamo, come dicevamo a proposito del nome del comitato, sono anni di grande confusione, di grandi contraddizioni, di grandi conflitti e non ci sono strade […]