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Publichiamo le utili precisazioni contentue in una lettera aperta che Eleonora Costantini, operatrice sociale e ricercatrice universitaria, ci ha scritto in merito al comunicato congiunto uscito poche settimane fa intorno al tema della casa. E la risposta di uno dei membri di “Anni in fuga”. (Le illustrazioni sono tratte da “Home”, di Carson Ellis, pubblicato in italiano da Emme edizioni nel 2015). 

 

Caro comitato “Anni in fuga”,
ho letto più volte e con molta attenzione il comunicato che anche voi avete sottoscritto e, ogni volta, alla fine mi è rimasto un certo disorientamento. Per questo vi scrivo.

Parto dalla fine: anche io credo che ciascuno di noi, in quanto cittadino, sia più o meno consapevolmente “dentro” ai problemi che vengono riportati. Sono dentro gli operatori, sono dentro gli amministratori, sono dentro i cittadini che fino a oggi hanno agito mossi da indignazione, pietà, umanità, buon senso, senso civico e sono dentro anche tutti quei cittadini che hanno paura, si oppongono, quelli razzisti, quelli che del problema hanno una visione parziale o superficiale. Sono dentro tutte le persone che in qualche modo hanno bisogno di Welfare. Ed è giusto tenere dentro tutti.

Credo però, che chi ha maggiore consapevolezza dei problemi e dei funzionamenti del Welfare, chi conosce cosa è successo a Modena e Provincia dal 2011 in avanti, abbia una responsabilità: quella di porre in modo preciso i problemi, dipanarli per quelli che sono e, nel definirli correttamente, porre sul tavolo strumenti di agire politico.

Vengo al punto: il documento mescola due questioni, certamente tra loro interconnesse, ma che se affrontate insieme – a mio avviso – rischiano di generare un caos maggiore, alimentando letture superficiali dei problemi. Da una parte c’è il problema della casa e del diritto all’alloggio; dall’altro la crisi dei programmi umanitari di accoglienza e la messa in discussione dello SPRAR.

Il primo problema è stato messo in risalto dal secondo, ma è ben più lontano nel tempo e nelle ragioni. L’alloggio non è una prestazione assistenziale essenziale in Italia; non ci sono obblighi normativi in tal senso e la Legge di riforma del 2000 che avrebbe potuto intervenire in tal senso è rimasta senza decreti attuativi. Quindi l’accesso all’alloggio è una delle tante prestazioni che pagano le scelte discrezionali a livello territoriale, politico, economico. È un problema che dunque persiste nel tempo e che trova soluzioni alterne: è un problema per i nuclei sfrattati, è un problema per i lavoratori stranieri soli, è un problema per chi non ha reddito adeguato, è un problema per tutte quelle persone che non hanno abbastanza problemi tanto da essere prese in carico da un Servizio Sociale. E anche per queste ultime, non sempre, l’alloggio è una certezza. Perché se la risposta sono gli alberghi o le camere triple in affittacamere a fronte di sfratti di madri e bambini, allora il problema diventa definire cosa sia un alloggio decoroso.

Nel corso degli ultimi tre anni – per la mia percezione – si è aggiunto un elemento ulteriore al problema: la conflittualità sociale e la paura del diverso, hanno reso il mercato degli alloggi ancora più ostile e impenetrabile. Non trovano casa i cittadini stranieri anche se hanno stabili contratti di lavoro, così come tutte quelle persone che in qualche modo possono essere percepite come pericolo. Questo, a mio avviso, è l’esito prevedibile delle narrazioni politiche e mediatiche che hanno avuto come oggetto le migrazioni e, più in generale, la povertà. Dal 2011 in avanti, ben prima di Salvini, che ha contribuito alzando i toni e agendo scelte coerenti con la propria propaganda.

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Poi, c’è il secondo problema: la gestione dell’accoglienza e la gestione dei suoi esiti. Innanzi tutto, è dal 2014 che il sistema emergenziale esiste e che ne stiamo vedendo gli esiti. Non presentiamolo come qualcosa che è ancorato all’oggi perché perderemmo la reale portata del problema. Io da sempre esprimo una forte critica nell’impostazione del sistema umanitario, per tanti motivi ma uno in particolare: perché se pensiamo che un intervento è dettato dalla sola umanità perseguiamo una strada che è deresponsabilizzante e che non vede davvero l’altro, nella sua progettualità, ma ciascuno diventa oggetto della nostra impossibilità di non intervenire. Mi spiego meglio. Dal 2012 come Stato abbiamo scelto di non pubblicare più decreti flussi per lavoro se non stagionale: in questo modo abbiamo chiuso possibilità di ingresso legale a tutti quei migranti che perseguivano un progetto personale di miglioramento delle proprie condizioni di vita. Abbiamo avviato l’operazione Mare Nostrum perché non potevamo non intervenire a sostegno dei profughi, cioè perché c’era una ragione cogente – il principio umanitario – che ci obbligava. Attenzione, una ragione esterna cogente non significa che abbiamo “scelto”. Ed essendo questo il principio che ha guidato l’intervento, l’esito è stato un sistema assistenziale. Un sistema cioè che non guarda il singolo e la sua progettualità ma massifica, eroga prestazioni indifferenziate, genera assistenza. In questo ciascun soggetto ha agito la propria parte: le amministrazioni locali che si sono tenute a distanza, le Prefetture e le Questure con i loro ingranaggi burocratici, i gestori che hanno vissuto la questione come privata perché regolata da contratto, la società civile che si è disinteressata di quello che stava accadendo, o lo ha guardato distrattamente dalla finestra o è intervenuta mossa da ideali contrastanti.

La crisi del sistema era implicita nelle sue premesse. La Legge Salvini peggiora le condizioni di un sistema in crisi perché non solo ne modifica le fondamenta ma modifica le condizioni individuali e le rende più fragili.

Dal 2014 in avanti di persone dal sistema di accoglienza ne sono uscite: alcune con propri progetti, alcune in strada, alcune dirette verso altri paesi. Molte sono rimaste ospiti presso i gestori: non abusivamente, ma come investimento progettuale sui singoli.

L’assenza di un alloggio dunque non è un problema di oggi; oggi sembra diventare più evidente.

Allora, tornando al punto di partenza, secondo me è necessario:

– distinguere i problemi: quello della casa da quello della crisi e dello smantellamento del sistema di accoglienza, rivendicando la complessità di entrambi i temi e il necessario investimento in termini di politica su ciascuno;

– per ciascuno dei problemi sottolinearne il valore collettivo, in termini di ricadute e di responsabilità: delle politiche, delle amministrazioni, dei singoli cittadini;

– creare una mobilitazione dal basso che sia consapevole, per evitare che sia una mobilitazione fine ai propri ideali piuttosto che orientata all’emersione dei problemi;

– favorire un confronto tra tutti gli interlocutori su ciascun problema pensando al Welfare come bene comune, di cui ciascuno ha una parte di responsabilità.

Perdonatemi la prolissità ma ho un forte timore: che ponendo i temi in questo modo, ancora una volta la migrazione diventi il problema, coprendone altri presenti da più tempo.

Un caro saluto a tutti,

Eleonora Costantini

 

Cara Eleonora,

mi trovi in gran parte d’accordo con te.

Mi trovi d’accordo sul fatto che le politiche abitative sono in grande affanno da ben prima della nascita del sistema d’accoglienza. Ma converrai con me che la prospettiva di vedere nei prossimi mesi centinaia delle persone attualmente in accoglienza (circa 1600, nella provincia di Modena) in giro per le strade, sen’zarte nè parte, renderà tutto più percepibile.

 

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Mi trovi d’accordo sul sistema d’accoglienza, che sarebbe finito in un imbuto indipendentemente dalle novità introdotte dal Decreto Salvini. Un imbuto sul piano giuridico e uno spreco di intelligenza e umanità, sia per i giovani migranti che per i loro (le loro) giovani assistenti.

Mi trovi d’accordo – e nel comunicato abbiamo provato a esprimerlo – sulla dimensione collettiva di questi problemi, che non riguardano solo prefetture o enti gestori.

Mi trovi d’accordo su una mobilitazione dal basso che sia consapevole e intelligente, non soltanto mossa da spinte umanitarie e solidaristiche.

Insomma, non pretendiamo da questo comunicato (frutto peraltro di un lavoro di scrittura “collettiva” tra soggetti molto, molto diversi gli uni dagli altri) niente di più che sollevare e dare un po’ di “pubblicità” a un problema che noi stiamo cercando di affrontare solo relativamente al territorio in cui operiamo (Nonantola) e alle persone con cui abbiamo una relazione. E di aggiungere una voce diversa a un dibattito che nelle scorse settimane ha visto solo confusi e allarmistici articoli della stampa, a cui dovremmo tutti aggiungere, anche su questo sono d’accordo con te, narrazioni più articolate, persuase e portatrici di idee per affrontare i problemi e non solo per denunciarli. È quello che con “Anni in fuga” stiamo cercando di fare.

Grazie davvero per le tue precisazioni,

Luigi Monti

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